“Con questo pacchetto l’Europa punta con decisione a uno sviluppo economico e sociale sostenibile, in grado di integrare finalmente politiche industriali e tutela ambientale”. Queste furono le parole che l’onorevole Simona Bonafè – eurodeputata e relatrice del pacchetto di economia circolare – pronunciò nel maggio 2018 quando il piano d’azione sull’economia circolare fu adottato dal Parlamento europeo dopo 28 intensi mesi di discussioni e confronti. Due anni dopo, il 3 settembre 2020, l’Italia ha ufficialmente recepito le suddette Direttive europee modificando in maniera sostanziale alcuni aspetti della gestione dei rifiuti nel nostro Paese.
Prima di vedere quali sono state le modifiche principali introdotte dal “pacchetto” torniamo al maggio 2018: l’Unione Europea aveva pubblicato quattro importanti Direttive (n. 849/2018/Ue, 850/2018/Ue, 851/2018/Ue e 852/2018/Ue) che, modificando le precedenti normative europee in tema di rifiuti di imballaggio, discariche, rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche RAEE, veicoli fuori uso e rifiuti di pile e accumulatori, fissavano nuovi ambiziosi obbiettivi di riciclaggio. Nello specifico puntavano a riciclare almeno il 55% dei rifiuti urbani dei singoli Stati membri entro il 2025 (per poi arrivare al 60% entro il 2030 e al 65% entro il 2035) frenando contemporaneamente lo smaltimento dei rifiuti in discarica (massimo 10% entro il 2035). In aggiunta, il pacchetto di economia circolare poneva l’altro importante obbiettivo di fare in modo che il 65% degli imballaggi venisse riciclato entro il 2025 e il 70% entro il 2030.
Come detto l’Italia ha recepito le suddette Direttive lo scorso settembre attraverso quattro Decreti Legislativi che molti esperti ritengono abbiano rivoluzionato l’attuale sistema di gestione dei rifiuti, poiché hanno modificato alcuni importanti articoli del “Testo unico ambientale” (D.Lgs. 152/2006 parte IV).
I Decreti in questione sono il:
- DECRETO LEGISLATIVO 3 settembre 2020, n. 116 (attuazione della direttiva (UE) 2018/851 relativa agli imballaggi e ai rifiuti di imballaggio);
- DECRETO LEGISLATIVO 3 settembre 2020, n. 118 (attuazione degli articoli 2 e 3 della direttiva (UE) 2018/849 relativa ai rifiuti di pile, accumulatori e rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche);
- DECRETO LEGISLATIVO 3 settembre 2020, n. 119 (attuazione dell’articolo 1 della direttiva (UE) 2018/849 relativa ai veicoli fuori uso);
- DECRETO LEGISLATIVO 3 settembre 2020, n. 121 (attuazione della direttiva (UE) 2018/850 relativa alle discariche di rifiuti).
In questo articolo ci focalizzeremo sulle principali novità introdotte dal D.Lgs. n.116 (entrato in vigore il 26 settembre 2020) e sulle disposizioni già in essere e confermate anche da quest’ultima normativa. La nostra analisi ha lo scopo di presentare brevemente gli aspetti principali del decreto, ma per un maggior approfondimento rimandiamo al decreto.
Viene confermato l’obbligo del produttore o altro detentore di rifiuti di provvedere in modo diretto al trattamento dei rifiuti o di affidarli ad una figura terza (intermediario e commerciante iscritti alla categoria 8 dell’Albo Gestori Ambientali) che effettui le operazioni di raccolta, trasporto e trattamento. A tal proposito tutti i soggetti che effettuano il trasporto professionale di rifiuti dovranno essere regolarmente iscritti all’Albo Gestori Ambientali nell’apposita Categoria di appartenenza e dovranno conferire i rifiuti trasportati solo ad impianti a loro volta autorizzati dall’autorità competente.
Resta vigente la responsabilità di controllo della filiera ossia: conferimento del rifiuto al servizio pubblico o ricezione della quarta copia del formulario di identificazione del rifiuto controfirmata e datata dal destinatario entro 3 mesi dalla data del conferimento al trasportatore, ovvero in caso contrario abbia provveduto a darne comunicazione alle autorità competenti. In caso di spedizioni transfrontaliere tali tempistiche sono prolungate a sei mesi.
Ciò detto, riepiloghiamo brevemente i tre tipi principali strumenti documentali di gestione dei rifiuti speciali e analizziamo alcune novità introdotte dai nuovi Decreti.
Registro di carico e scarico dei rifiuti: è lo strumento che rappresenta la base documentale della tracciabilità dei rifiuti in quanto in esso devono essere riportati tutti i carichi e gli scarichi dei rifiuti effettuati. Rispetto alla precedente disciplina, si evidenzia che fino all’attuazione del nuovo sistema di tracciabilità previsto all’art. 188-bis, l’obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico dei rifiuti, il cui tempo di conservazione è passato da cinque a tre anni, rimane invariato per tutti i soggetti precedentemente obbligati, ma vengono esclusi i produttori iniziali di rifiuti non pericolosi che non hanno più di 10 dipendenti.
Formulario di identificazione dei rifiuti (FIR), è il documento che deve accompagnare il rifiuto dal momento in cui esso esce dall’unità produttiva in cui è stato prodotto, fino alla consegna al destinatario. Si compone di quattro copie le quali devono essere compilate, datate e firmate dal produttore e controfirmate dal trasportatore. La prima di queste quattro copie deve rimanere al produttore mentre le altre tre copie devono essere acquisite una dal destinatario e due al trasportatore, il quale provvederà ad inviare al produttore la quarta copia in cui deve essere compilata la parte in cui si conferma la ricezione del rifiuto presso il destinatario ed il peso verificato a destino. Una novità introdotta prevede che in caso di conferimento di rifiuti a terzi, autorizzati ad operazioni di raggruppamento, ricondizionamento e deposito preliminare (D13, D14, D15) occorre la ricezione sia della quarta copia del FIR, sia di una attestazione di avvenuto smaltimento resa ai sensi del DPR n. 445/2000. Tale attestazione deve essere fornita e sottoscritta dal titolare dell’impianto di trattamento finale e deve contenere, oltre alle informazioni generali del titolare e dell’impianto, anche il tipo di operazione di smaltimento a cui è stato sottoposto il rifiuto. Modello di attestazione, tempi entro cui debba essere implementata e modalità di invio sono ancora in via di definizione.
Modello unico di dichiarazione ambientale (MUD), consiste sostanzialmente nella comunicazione che alcune aziende devono presentare ogni anno, indicando quanti e quali rifiuti hanno prodotto durante il corso dell’anno precedente. Le aziende soggette a MUD, in linea di massima, sono quelle che hanno avuto più di 10 dipendenti nell’anno di riferimento, o che hanno prodotto dei rifiuti pericolosi. Il MUD potrebbe scomparire o comunque dovrà interfacciarsi con un nuovo sistema di tracciabilità informatico che tanto ricorda il SISTRI.
Di fatto, un’altra novità di rilievo, introdotta dall’articolo 188-bis, riguarda il sistema di tracciabilità dei rifiuti che si compone delle procedure e degli strumenti di tracciabilità dei rifiuti integrati nel Registro elettronico nazionale (RENTRI) per la tracciabilità dei rifiuti istituito ai sensi dell’articolo 6 del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12, gestito direttamente dall’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali.
Il RENTRI permetterà inoltre di gestire l’attestazione di avvenuto smaltimento dei rifiuti e anche il loro recupero. Fino all’entrata in vigore del RENTRI è richiesta solo l’attestazione di avvenuto smaltimento per le operazioni D13, D14 e D15; dopo l’entrata in vigore del RENTRI sarà richiesta anche per le attività di recupero di cui alla voce R12 ed R13.
Il RENTRI sarà uno strumento accessibile agli organi di controllo e consentirà di attribuire le responsabilità anche all’intermediario. Come detto, per la comunicazione MUD e per la gestione digitale delle spedizioni transfrontaliere, RENTRI dovrà interfacciarsi con ISPRA.
Con l’introduzione del RENTRI viene definitivamente abrogato l’articolo 188-ter che riguardava il precedente, poco rimpianto, sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI).
Oltre ai sopra descritti obblighi documentali, il nuovo decreto pone l’attenzione sulle regole base per una corretta gestione dei rifiuti a cominciare dall’identificazione dei codici CER fino alla gestione del deposito temporaneo. A tal proposito è stato inserito l’art. 185-bis che modifica il nome del “deposito temporaneo” in “deposito temporaneo prima della raccolta” e lo definisce come “il raggruppamento dei rifiuti ai fini del trasporto degli stessi in un impianto di recupero o smaltimento, prima della raccolta”.
Dovrà rispettare le seguenti condizioni:
- deve essere effettuato nel luogo in cui i rifiuti sono prodotti, cioè l’area in cui si svolge l’attività che ha generato la produzione dei rifiuti, o per le imprese agricole, di cui all’articolo 2135 del codice civile, presso il sito che sia nella disponibilità giuridica della cooperativa agricola, ivi compresi i consorzi agrari, di cui gli stessi sono soci;
- esclusivamente per i rifiuti soggetti a responsabilità estesa del produttore, anche di tipo volontario, il deposito preliminare alla raccolta può essere effettuato dai distributori presso i locali del proprio punto vendita;
- per i rifiuti da costruzione e demolizione, nonché per le filiere di rifiuti per le quali vi sia una specifica disposizione di legge, il deposito preliminare alla raccolta può essere effettuato presso le aree di pertinenza dei punti di vendita dei relativi prodotti;
- deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti che non possono essere miscelati in uno stesso contenitore.
Come detto, quelle riportate in questo articolo sono alcune delle più rilevanti modifiche apportate dal D.Lgs. n.116/2020 in tema di gestione dei rifiuti. Ulteriori approfondimenti sulle specifiche tematiche verranno trattate nei prossimi articoli.
Redazione Osservatorio HSE